Arrivate alla fine del primo trimestre di gravidanza, considerato il periodo più a rischio per aborti spontanei, la mamma e il papà devono prendere una prima importante decisione per il loro bambino: fare o non fare indagini di diagnostica prenatale? Che cosa significa? Diagnosi prenatale è un termine generico che include numerose metodiche per valutare se il bimbo può avere difetti genetici. Queste metodiche possono essere divise in 2 grossi gruppi, INVASIVE e NON INVASIVE. Da pochissimo è inoltre possibile fare anche in Italia un innovativo TEST PRENATALE PER LA SINDROME DI DOWN! Vediamo insieme su cosa si basano, quando e perché sono consigliate.
METODICHE INVASIVE
Fanno parte di questa categoria l’amniocentesi e la villocentesi, ovvero quelle procedure che, attraverso l’inserimento di un ago, prelevano un campione di cellule fetali: rispettivamente, 20 cc di liquido amniotico o alcune cellule dei villi coriali. In entrambe i casi lo scopo è il medesimo: le cellule prelevate, debitamente messe in coltura, si replicano manifestando eventuali alterazioni nella loro duplicazione o, se sono presenti, delle anomalie genetiche. Si tratta quindi di un’indagine diagnostica certa, basata sulla valutazione numerica e morfologica dei singoli cromosomi. In cosa si differenziano? Oltre che per il tipo di materiale prelevato, i 2 esami vengono effettuati in epoche di gravidanza distinte: il test villocentesi viene eseguito alla 12° settimana, l’amniocentesi alle 16°settimana. La scelta di un esame può essere dettata da molteplici fattori: precocità della diagnosi, presenza di operatori medici in grado di compiere la procedura (più complesso il prelievo dei villi coriali), presenza di un ambulatorio ospedaliero in grado di garantirla… Quando viene offerta o consigliata? In linea generale, le possibilità di avere un figlio con anomalie genetiche aumentano con l’aumentare degli anni della madre: ecco perché la diagnosi prenatale invasiva viene offerta gratuitamente dal SSN a tutte le donne gravide dai 35 anni d’età. Inoltre, viene offerta nel caso in cui ci siano dei fattori di rischio aumentati, indipendentemente dall’età materna (ad esempio precedenti casi in famiglia di bambini con alterazioni cromosomiche, genitori con anomalie genetiche…); viene offerta inoltre come secondo step se la diagnostica non invasiva è risultata alterata.
METODICHE NON INVASIVE
Appartengono a questa categoria i test ematologici ed ecografici effettuati in diversi ma specifici momenti della gravidanza. Cosa significa? Esistono numerosi ormoni “portati” nel corpo materno dal feto con un loro proprio sviluppo oscillatorio (aumentano o diminuiscono) e proprio lo studio di questi ormoni ha portato a scoprire alcune anomalie nel loro andamento se il feto presenta trisomia 21 (sindrome di Down), difetti del tubo neurale o trisomia 18 (sindrome di Turner). Senza scendere troppo nello specifico, si parla di bi-test, tritest o test integrato a seconda di quanti e quali ormoni vengono dosati: la ß-HCG, l’-feto proteina, l’estriolo libero, la PAPP-A. Questi circolano liberi nel sangue materno: se un feto è sano o è malato si comportano in modo diverso e il loro dosaggio, attraverso 2 prelievi a distanza di 3 settimane, fa stabilire qual’è la possibilità di avere un feto malato. Si tratta quindi di un calcolo di probabilità, verificando il dosaggi ormonali in relazione all’età materna e alle immagini ecografiche in cui devono essere visualizzati determinati elementi: la plica nucale (NT), particolarmente accentuata nei feti Down e presente solo in una particolare epoca di gravidanza perché poi va a scomparire; il profilo del naso, assente nei feti Down, eventuali difetti del tubo neurale… Si può quindi dire che la diagnosi prenatale non invasiva utilizza un analisi matematica. Ciascuna classe d’età materna ha un proprio rischio di avere feti con anomalie cromosomiche: come già detto, una donna di 36 anni presenta un rischio maggiore di una di 25. Se risultasse uno screening positivo, la coppia viene contattata per prendere in considerazione l’eventualità di effettuare la diagnosi prenatale invasiva. La scelta di effettuare o meno diagnosi prenatale deve essere consapevole e valutata da entrambe i genitori: si entra in un percorso talvolta insidioso per le decisioni che possono essere prese e che vanno a condizionare il decorso di tutta la gravidanza o la sua interruzione.
TEST PRENATALE PER LA SINDROME DI DOWN
Si tratta di un test che permette di individuare molto precocemente e senza rischi la sindrome di Down (trisomia 21), la trisomia 18 e la 13. Si può fare già dalla 10a settimana di gravidanza e per effettuare l’analisi basta un semplicissimo esame del sangue. Dal sangue della mamma è infatti possibile analizzare, in alcuni centri medici specializzati, il DNA del feto che proviene dalle cellule della placenta.
Si tratta di un’importante opportunità che consente alla mamma di evitare il rischio di un esame invasivo e pertanto di non mettere a repentaglio la gravidanza ma che al momento viene offerta solo privatamente. L’esame costa fra i 500 e i 1.000 euro – comunque, meno dell’amniocentesi – ed è particolarmente consigliato dai 30 anni in su.
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