Durante l’allattamento al seno può succedere che, per svariate ragioni, la produzione di latte da parte della madre sia insufficiente a coprire il fabbisogno del neonato…perché accade? Ricordiamo il meccanismo della produzione di latte: attacco il bambino al seno, creo un stimolo che, a livello cerebrale materno, fa mettere in circolo la prolattina, l’ormone responsabile della produzione del latte. Quindi, secondo questa logica, più attacco il bambino al seno, più latte produco? Si, generalmente è così: ma allora perché talvolta non basta? C’è una funzione ancora più arcaica che entra in gioco: l’istinto di sopravvivenza materno. Se una donna non si nutre a sufficienza, non ha supporto famigliare, non riesce riposare abbastanza, non beve un quantitativo adeguato di liquidi da coprire il fabbisogno suo e quello richiesto dall’allattamento…allora va sempre più diminuendo la quantità di latte prodotta dalla donna, proprio perché è la prima cosa superflua per la sua sopravvivenza. Se ci riflettiamo, le nostre nonne, quando allattavano, erano molto tutelate: erano tenute lontano dai lavori nei campi o nelle stalle, erano “accudite”, nutrite a sufficienza per poter avviare e mantenere a lungo un allattamento, allora importantissimo per la sopravvivenza del nuovo nato.
Oggi, la vita frenetica, lo stress, la mancanza di un gruppo famigliare di supporto costante, il ritorno precoce al lavoro oppure la presenza in casa di altri figli che, giustamente, richiedono le loro attenzioni e impegno…sono tutte cause di una diminuzione nella produzione di latte e quindi un rallentamento nella crescita del bambino. Nei primi tre mesi di vita è bene pesarlo una volta a settimana: il suo accrescimento può variare tra 120 – 250 grammi a settimana. Se un pediatra, nei vari appuntamenti dei bilanci di salute, si rende conto di un importante rallentamento della curva di crescita, suggerisce alla donna di integrare l’allattamento al seno con alcuni pasti di latte artificiale. In primis la salute e il benessere del bambino, ma se ci pensiamo bene…è esattamente l’opposto di ciò che si dovrebbe fare per cercare di avvantaggiare l’allattamento al seno: bisognerebbe consigliarle di attaccare il bambino più spesso, riposarsi, bere molto, farsi aiutare dalla famiglia se possibile o da persona qualificate (ostetriche, infermiere pediatriche, consulenti dell’allattamento…) per cercare di incrementare nuovamente la produzione di latte. Sempre per le ragioni sopra descritte e per il fatto che l’allattamento deve comunque sempre rimanere anche un piacere, non un obbligo o una pura e semplice fonte di stress, allora si preferisce suggerire l’integrazione con il latte in polvere. Non sopravvalutiamo però questa integrazione: “gli dò il biberon, sono più tranquilla e sicura e più libera…!” L’integrazione con il latte artificiale va innanzitutto concordata con il pediatra, sia per il quantitativo che per il tipo di latte; inoltre può sostituire un intero pasto oppure integrare la scarsa poppata al seno. In quest’ultimo caso, bisogna mettere in conto che ad ogni poppata il bambino va pesato prima e dopo (doppia pesata) per poter integrare il giusto quantitativo mancante, anche questo stabilito con il pediatra. Generalmente, questo tipo di allattamento è vissuto in maniera ancora più stressante da parte delle mamme, tanto che da lì a poco decidono di interrompere del tutto l’allattamento al seno per passare in modo esclusivo a quello artificiale. È importante ricordarsi che non si è delle cattive mamme se si allatta artificiale o si decide d’interrompere per “meglio vivere”: è molto impegnativo allattare la seno, serve determinazione, volontà e soprattutto un ambiente positivo e di sostegno. Non deve essere vissuto come un’imposizione, ma come un momento da vivere serenamente con il proprio bambino: se ciò non accade, è meglio interrompere per poter vivere al meglio questo magico momento.
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