In Italia nascono ogni anno intorno ai 540.000 bambini di cui circa 3150 affetti da alterazioni cromosomiche. Cosa sono le alterazioni cromosomiche? Come influisce l’età materna? Quali esami sono consigliati?
Cosa sono le alterazioni cromosomiche?
I cromosomi – attraverso i geni che contengono – determinano le caratteristiche di ciascun individuo come ad esempio il colore degli occhi, dei capelli, il sesso ecc.
Negli esseri umani ci sono 23 coppie di cromosomi, per un totale di 46 cromosomi, di cui due – detti sessuali – che determinano il sesso. In ogni coppia di cromosomi, un cromosoma proviene dalla mamma e uno dal papà.
I cromosomi sono come il software dei computer, aggiungendo o togliendo, casualmente, una o più parti del programma, il computer si bloccherà, oppure, nella migliore delle ipotesi, procederà con difficoltà perdendo alcune funzioni.
Per quel che riguarda noi, le alterazioni cromosomiche si presentano nella maggior parte dei casi come un cromosoma in più: si parla di “trisomia”. La più nota e la più diffusa trisomia è quella che interessa la coppia di cromosomi 21, la cosiddetta “Sindrome di Down”.
Metodiche invasive quali la villocentesi e l’amniocentesi consentono di individuare nel feto, con certezza diagnostica, eventuali alterazioni cromosomiche. Si tratta però di esami che comportano una percentuale significativa (circa 1/100) di aborti spontanei e pertanto non avrebbe senso proporli a tutte le donne.
Come influisce l’età materna sulle alterazioni cromosomiche?
Il criterio dell’età materna si basa sull’osservazione che più aumenta l’età della donna maggiore è il rischio di alterazioni cromosomiche. A 35 anni il rischio di partorire un figlio affetto da Sindrome di Down è statisticamente di 1 su 350 gravidanze.
L’età materna non può però – da sola – costituire un effettivo fattore di rischio. I dati dimostrano infatti che:
· sottoponendo ad amniocentesi tutte le donne di età uguale o maggiore di 35 anni, si riesce solo ad individuare il 50% di tutti i feti affetti da Sindrome di Down.
· il numero di falsi positivi è troppo alto: 45 %, ovvero praticamente la metà
· la percentuale di donne in gravidanza di oltre 35 anni oggi è aumentata molto, raggiungendo il 15% di tutte le gravidanze.
Effettuare un’amniocentesi affrontando un rischio di aborto dell’1% per individuare un’alterazione che ha un’incidenza di 1/350 ha del paradosso; inoltre, solo il 50% dei bambini affetti verrebbe rilevato, stando al solo criterio dell’età.
Analisi non invasive per le alterazioni cromosomiche?
Gli esami di screening non invasivi (leggi l’articolo) consentono di analizzare alcuni fattori di rischio e di individuare una probabilità più o meno alta che il bambino sia interessato da un’alterazione cromosomica. Si basano su analisi biochimiche e morfologiche che però – in particolare per le donne che affrontano la gravidanza tardivamente – possono dar luogo a percentuali piuttosto alte di falsi positivi. Un esito positivo comporta un esame di approfondimento quale l’amniocentesi ma spesso il tempo che intercorre tra il primo esito positivo (che può essere dato al I trimestre) e l’esito diagnostico dell’amniocentesi (oltre 5-6 settimane dopo) costituisce un importante stress per le donne.
I recentissimi test di analisi prenatale NIPT – che da un campione di sangue materno prelevato dalla 10° settimana di gravidanza in poi, identificano le principali anomalie cromosomiche – stanno pertanto diventando in brevissimo tempo una valida alternativa sia agli stessi screening, sia come screening di secondo livello. Si tratta infatti di analisi molto innovative che attraverso le più avanzate tecnologie di analisi genetica sono in grado di rilevare con grande attendibilità alterazioni quali la Sindrome di Down. I falsi positivi, con questi test, sono inferiori all’1%, il che significa che riducono notevolmente il numero delle donne che si trovano – dopo un esito di screening positivo e in condizioni di grande stress – a dover affrontare un’amniocentesi e il relativo rischio di compromissione della gravidanza.
Gli esperti consigliano l’analisi prenatale NIPT come test di primo screening per le donne della fascia dai 30-35 anni in su e come test di screening avanzato per le gravide che sono risultate positive agli screening tradizionali e che altrimenti dovrebbero attendere diverse settimane prima di sottoporsi a un’amniocentesi.
Gli stessi precisano però che un’analisi prenatale NIPT positiva deve comunque essere confermata da un’amniocentesi, nel caso si decida di interrompere la gravidanza.
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